Roberto Bombarda - attività politica e istituzionale | ||||||||||||||||||||||||||||
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Trento, 13 dicembre 2006 Dopo settimane con il naso all’insù, la neve ha finalmente imbiancato le cime dolomitiche consentendo l’avvio della stagione turistica invernale. Ma le temperature d’inizio dicembre 2006 rimarranno negli annali come alcune tra le più miti a memoria d’uomo. Si tratta peraltro di un fenomeno che potrebbe ripresentarsi anche in futuro, come ricaduta locale dell’aumento generalizzato delle temperature della Terra a causa dei cambiamenti climatici in corso. Dopo alcuni anni di imprecisioni ed inesattezze, ormai tutto il mondo scientifico – in particolare gli scienziati riuniti nell’IPCC, l’International Panel on Climate Change - concorda sul fatto che il clima della Terra sta cambiando. L’anidride carbonica, uno dei maggiori responsabili dell’effetto serra, è aumentata infatti in questi ultimi due secoli come mai aveva fatto nel corso di centinaia di migliaia di anni, passando da 280 a quasi 400 parti per milione. Continuando il trend attuale, alla fine del secolo si potrebbero toccare valori da 550 a 800 parti per milione. Con il Protocollo di Kyoto, entrato in vigore il 16 febbraio 2005, l’Italia è “vincolata” a diminuire del 6,5% il proprio carico di emissioni rispetto a quello del 1990 entro il periodo 2008-2012. Tuttavia negli ultimi anni le emissioni sono andate aumentando - + 12% nel 2004 rispetto al 1990 – tanto che oggi il raggiungimento dell’obiettivo richiederebbe la riduzione di circa il 18%. Da Rio de Janeiro a Nairobi, passando per Kyoto i governi e le istituzioni mondiali stanno tentando di mettere un freno a mutamenti che hanno già manifestato gravi danni al pianeta ma che potrebbero avere effetti ancor più devastanti per le comunità umane. E’ di poche settimane fa la presentazione al Governo Blair del rapporto curato dal prestigioso economista Nicholas Stern (già capo economista della Banca Mondiale) e denominato “The economics of climate change”: secondo questo rapporto saranno necessari tra il 5 ed il 20% del Pil mondiale – una cifra di 5,5 trilioni di euro - per riparare i danni che si manifesteranno nel 2100, quando la temperatura della Terra potrebbe essere mediamente più calda di 5 gradi rispetto ad oggi, come conseguenza del riscaldamento del pianeta indotto dalle attività umane. Il Rapporto Stern individua anche una serie di azioni e di interventi per mitigare le conseguenze, azioni ed interventi che il Governo Blair sta già avviando. Anche il governo americano dispone di simili previsioni, posto che nel 2003 un rapporto del Pentagono, redatto da Peter Schwarz e Doug Randall e rimasto secretato per mesi, presentava i possibili scenari che il cambiamento climatico avrà sulla sicurezza degli Stati Uniti. Ma quali riflessi potrebbero avere i cambiamenti climatici in una regione di montagna, che vive sul turismo, sull’agricoltura, sulle risorse idriche dei ghiacciai e dei corsi d’acqua? E’ una domanda che, con le strane temperature del dicembre 2006, dovrebbero iniziare a porsi tutte le regioni di montagna. Ed in realtà qualcuno si è già mosso per tempo. Con lo studio “Cambiamenti climatici in Val d’Aosta: opportunità e strategie di risposta” il presidente della Regione autonoma Val d’Aosta, Luciano Caveri, ha voluto conoscere dalla prestigiosa Società Meteorologica Subalpina di Torino quali potrebbero essere gli scenari futuri. ”Io l’ho visto il cambiamento climatico”, afferma con onestà il presidente valdostano, “questo studio nasce tuttavia da un’esigenza, quella previsionale. Per capire, nel limite del possibile, dove andremo a finire per decidere sui diversi temi: quale turismo, quale agricoltura, quale politica energetica…” Dallo studio si hanno ulteriori conferme – scientificamente dimostrate – che durante il XX secolo le temperature globali sono cresciute di 0,6-0,7 gradi, mentre sulle Alpi l’incremento è stato addirittura superiore, con 1,1 gradi in più dal 1890! Dal 1972 al 2005 la superficie continentale coperta da neve dell’emisfero nord è diminuita del 5,7% e negli ultimi anni si è assistito ad una precoce fusione primaverile del manto nevoso. Le conseguenze sui ghiacciai – che Antonio Stoppani chiamava “strumenti naturali perfettissimi” – sono sotto gli occhi di tutti, con un dimezzamento delle masse e delle superfici nel corso del XX secolo e con ulteriori drammatiche riduzioni nel corso degli ultimi anni, con gravi ripercussioni di tipo ambientale ed economico. Lo studio valdostano individua tutte le possibili conseguenze sulle attività turistiche estive ed invernali, sull’agricoltura, sulla produzione idroelettrica degli impianti. Ad esempio, ricorda come diventi inopportuno investire in impianti sciistici a quote troppo basse, dove a causa delle temperature e delle scarse risorse idriche potrebbe diventare insostenibile anche la realizzazione di impianti di innevamento programmato. In particolare, citando lo studio dello scienziato svizzero Buerki, afferma che “nel periodo 2030-2050 soltanto le località sciistiche sopra i 1600-2000 metri potranno fare affidamento su una quantità di neve sufficiente per la pratica dello sci”. Ma non mancano preoccupanti scenari anche per quanto riguarda il comparto agricolo – con le risorse foraggere sempre più a rischio – e quello idroelettrico, con le riserve d’acqua in corso di riduzione. Per il Trentino Alto Adige-Suedtirol non possono non preoccupare proprio le possibili conseguenze della riduzione delle risorse idriche disponibili sulla produzione idroelettrica, oggi che dopo anni di braccio di ferro si sta finalmente ponendo sotto il controllo delle provincie autonome l’attività degli impianti sulle grandi derivazioni. “Che cosa fare in Valle d’Aosta?”, si chiede lo studio. La prima fase di risposta è quella dell’informazione, seguita da quella dell’azione, tramite proposte di leggi o attuazione di processi volti a mettere in pratica quanto ormai recepito da parte della cittadinanza. “Il problema del cambiamento climatico e della conseguente riduzione di emissioni di gas climalteranti pone un’enorme sfida all’attuale assetto economico della società umana”, conclude lo studio, ricordando che “è assolutamente indispensabile iniziare questo cammino nel più breve tempo possibile”. Risparmio energetico, energie rinnovabili, trasporti, ottimizzazione dell’uso dell’acqua, gestione dei rifiuti, economia di filiera corta, turismo sostenibile, emissione di anidride carbonica e protocollo di Kyoto sono alcuni dei temi sui quali lo studio indica alcune “buone pratiche” da mettere in atto al più presto a livello regionale. Kathy Riklin, dell’organo consultivo sui cambiamenti climatici della Svizzera, afferma che “gli scienziati dibatteranno e faranno ricerche ancora per decenni sulle cause dei cambiamenti climatici. Ma i decisori sono chiamati a prendere fin da subito delle misure preventive”. In definitiva, quello valdostano risulta essere uno studio di grande interesse scientifico e di rilevante attualità, con utili suggerimenti su come una regione di montagna dovrebbe agire con coscienza e prontezza. Ciò premesso il Consiglio impegna la Giunta provinciale 1. a promuovere, anche mediante il coinvolgimento dell’Università di Trento, uno studio riguardante i possibili effetti dei cambiamenti climatici sull’ambiente e sull’economia del Trentino, capace di individuare e proporre alcune soluzioni concrete che possano essere attuate prontamente al fine di mitigare le eventuali conseguenze negative e di valorizzare le eventuali conseguenze positive; 2. a programmare una campagna di informazione rivolta a tutta la cittadinanza riguardo il tema dei cambiamenti climatici, proponendo e divulgando le “buone pratiche” che ciascuno può attuare per ridurre la propria produzione di anidride carbonica, la propria impronta ecologica ed il proprio contributo al riscaldamento della Terra. Cons. prov. dott. Roberto Bombarda
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